Settimana scorsa Roche ha annunciato i fallimento della fase 3 di MetMAb nel trattamento della seconda linea in giù del tumore al polmone non a piccole cellule (NSCLC). L’evento ha avuto ripercussioni nei confronti del titolo anche in virtù del fatto che l’anticorpo è sperimentato anche in prima linea, con risultati che, a questo punto, sono attesi con una certa diffidenza. Ma nei confronti della concorrenza ci possono essere delle ripercussioni? MetMAb è, come il nome stesso suggerisce, un anticorpo anti-MET, bersaglio iper-espresso in diverse forme tumorali, fra le quali i carcinoma epatocellulare e quello polmonare. Caratteristica peculiare dello studio fallito è quella di aver arruolato solo pazienti MET+ (cioè che mostrano una sovra-espressione del gene MET), ossia quelli che, in base al meccanismo d’azione del farmaco, dovrebbero ricevere maggiori benefici dal trattamento. Tutto questo è familiare agli azionisti di ArQule (ARQL), compagnia che sta sperimentando un farmaco dalle caratteristiche simili: ARQ 197, al secolo tivantinib.

Roche ha annunciato che, a seguito dell’analisi ad interim pianificata al momento del disegno del trial MetLung, non si sono raggiunti benefici tali da suggerire la continuazione dello stesso. In poche parole, MetMab (od onartuzumab) nel tumore al polmone in seconda o terza linea non è efficace, nonostante i pazienti siano stati selezionati in base ad un biomarker preciso, ossia alta espressione di MET (MET Hi).  Qualcosa nel meccanismo d’azione on funziona? Per il colosso svizzero si tratta di un contraccolpo da non sottovalutare,  perché l’anticorpo è attualmente testato anche in prima linea del NSCLC. Chiaro, Roche ha altre priorità al momento, principalmente legate all’anti-PDL1 ed ai dati che presenteranno ad ASCO ed ha altri farmaci in fase registrativa quali Cobimetinib e Kadcyla, ma questo non significa che il primo falimento di MetMAb non abbia conseguenze. Dove però questo evento rischia di destabilizzare maggiormente è a casa di compagnie quali ArQule, Exelixis e Mirati. Il motivo è semplice, tutte e tre hanno fra i loro farmaci di punta un MET inibitore. Non si tratta di un anticorpo, ma di 3 tirosinchinasi inibitori.

Exelixis e Mirati condividono un aspetto fondamentale, hanno adottato una strategia diversa da quella di ArQule e di Roche. I loro farmaci di punta, cometriq (cabozantinib) ed MGCD-265, sono due TK inibitori sporchi, ossia inibiscono molteplici pathway oltre quello del MET. In ambo i casi le compagnie hanno optato (dovendo scegliere specifiche mutazioni) di perseguire altri target, all’interno dell’intero segmento del tumore al polmone. Exelixis punterà sulla fusione RET, in virtù anche dei dati positivi emersi dalla fase 3 EXAM in pazienti affetti da tumore della tiroide, Mirati su quella AXL. Cabozantinib e MGCD-265 sono simili, per certi versi, non a caso nei primi articoli su Mirati (quando ancora non si chiamava così e quotava decimi di dollaro) chiamavo il loro farmaco “un Cabo venuto dal Canada”. Le due strategie sono in antitesi rispetto a quella di Roche che punta su un mercato più grande, mentre RET e AXL sono indicazioni di nicchia e, soprattutto, sono indicazioni scelte su criteri che sembrano avere basi più solide.

Diverso il discorso per quanto riguarda ArQule. Anche tivantinib ha avuto numerosi incidenti lungo la strada della sperimentazione nel tumore al polmone, incidenti che sono stati attribuiti al fatto che lo studio non fosse incentrato su pazienti MET Hi, ma che la scelta sia stata fatta unicamente su base istologica. chiaramente a questo punto il discorso merita una notevole riflessione.

Uno dei punti di forza dell’investimento in ArQule, dopo gli scivoloni con MARQUEE ed ATTENTION ( i due studi in fase 3 sul tumore al polmone falliti), consisteva nel fatto che la fase 3 nel tumore al fegato includesse solo MET Hi e che esaminando i dati degli studi registrativi emergeva comunque un trend favorevole per i pazienti con alta espressione MET. Ora, se si considera quanto accaduto a Roche, viene da chiedersi se sia ancora valido il principio. Non solo: a questo punto appare evidente che una eventuale decisione da parte della compagnia di perseguire l’indicazione del tumore al polmone vada soppesata con molta calma. Se da una parte non c’è più il gap in termini di tempo con MetMAb per quanto concerne il NSCLC, le possibilità che lo studio riesca sono limitate o, per meglio dire, non si capisce in cosa tivantinib potrebbe essere superiore.

Due sono i quesiti:

1- Esiste una sostanziale differenza fra l’espressione di MET nel tumore al fegato rispetto a quella del tumore al polmone?

2- Possibile che qualche caratteristica di tivantinib lo renda superiore ad un farmaco altamente selettivo (al pari del farmaco di ArQule) come MetMAb?

A mio modo di vedere la risposta potrebbe anche essere si a tutte e due le domande ma, indipendentemente da questo, la bassa capitalizzazione del titolo sottrae rischio all’investimento, rendendolo comunque interessante, anche se non privo di rischi. METIV (la fase 3 nel tumore al fegato) arriverà a conclusione nel 2015, forse anche oltre a causa delle vicissitudini delle quali vi ho parlato tempo fa legate al dosaggio modificato del farmaco. Tempi lunghi quindi. Un mese fa il partner Kyowa Hakko Kirin (KHK) ha iniziato una fase 3 sulla falsa riga di METIV in pazienti giapponesi con alta espressione MET, uilizzando lo stesso dosaggio dello studio già in corso.

Per quanto riguarda il polmone, le ultime nuove dal trial MARQUEE parlavano di un beneficio per pazienti MET Hi espresso come hazard ratio di 0,72 e 0,70 per sopravvivenza e progressione libera da malattia rispettivamente. Nello studio ATTENTION tutti gli endpoint erano a favore di tivantinib, sebbene non in modo statisticamente significativo per quanto riguarda la popolazione ITT (quindi MET Hi e MET Lo). Chissà che non stia venendo voglia ad ArQule di tentare un clamoroso sorpasso ai danni di Roche?