Il gallo e la perla

In un letamaio un pollastro cerca qualcosa da beccare: trova una perla. “Tu, una cosa tanto preziosa” disse “stai qui abbandonata in un luogo indegno! Se qualcuno avido di quanto tu vali lo avesse notato, saresti tornata da un pezzo al tuo primitivo splendore. Io, certo, ti ho scoperto, ma preferirei di gran lunga trovare qualcosa da mangiare, e così questa combinazione non serve un accidente né a me né a te”. Questo io lo racconto per certe persone che non mi capiscono.

Fedro, III, 12

Ringrazio Michele, conte di Galapagos, per l’introduzione. E’ bene precisare subito che io sono il pollastro in cerca di becchime e come l’animale in questione non ho una concreata opinione circa lo short sui titoli. Non l’ho mai fatto, anche per una questione tecnica, visto che con le attuali piattaforme che uso dovrei abilitare il servizio, tuttavia spesso sono stato tentato. Capita, ad esempio, di vedere approvati farmaci che chiaramente non hanno alcun futuro in termini di vendite e titoli decisamente troppo capitalizzati per quello che in realtà hanno in cantiere e verrebbe la tentazione di scommettere contro, ma francamente è un desiderio che sparisce in fretta, per quel che mi riguarda. Trovo molto più allettante la possibilità di scommettere a favore ed avere infinite possibilità di salita piuttosto che puntare ad un guadagno massimo del 99% nel caso l’azione si disintegri. Punti di vista, chiaramente, ma la premessa è solo per chiarire un punto: non sono short sulle aziende di cui vi parlo in questa serie di articoli, ma l’ipotesi di investimento in queste aziende ha molto senso solo se ci fanno la cortesia di crollare prima. In buona sostanza, si tratta di fare quello che in passato è già riuscito in modo egregio con aziende quali Ziopharm (ZIOP) o, caso più recente, Onconova (ONTX).

Se già le avete in portafoglio, sappiate che vi auguro tutto il bene possibile. Oggi iniziamo da Immunomedics.

Immunomedics (IMMU).

IMMU catalyst
Questi gli eventi più importanti di Immunomedics per i mesi a venire. Dalla tabella si evince il il più trasformativo di questi riguarda il rilascio dei dati di EMBODY 1 e 2, le due fasi registrative di epratuzumab nel trattamento del Lupus. I dati in questione erano inizialmente previsti per fine 2014, poi per inizio 2015 e dopo ancora per la prima metà di quest’anno, metà che da circa 20 giorni abbiamo superato. Si fanno attendere insomma. Questo, normalmente, non è un buon segno. Se ricordate, una delle mie regole è che uno studio con endpoint misurabile in unità di tempo ritarda nella sua conclusione, è molto probabile che il disastro sia all’orizzonte. Nel caso di EMBODY l’endpoint primario è costituito dalla misurazione delle risposte a 48 settimane, quindi non il ritardo è probabilmente riconducibile ad una qualche difficoltà nell’arruolare i pazienti, il che è strano considerando le misere opzioni terapeutiche a disposizione dei soggetti con le caratteristiche adeguate all’arruolamento.
Ora, la tesi di investimento è chiaramente imperniata attorno al fallimento di EMBODY 1 e 2, meno evidente forse il motivo per il quale possa valere la pena tentare un ingresso. Il resto della pipeline di Immunomedics infatti non brilla certo e, fra gli attori principali nel mercato degli anticorpi coniugati ad un carico citotossico (antibody-drugs conjugates o ADC) sono decisamente dietro a Seattle Genetics ed Immunogen (IMGN), sia come risultati clinici che come numero di partnership di peso. Se alla concorrenza infatti si sono affiancate compagnie quali Pfizer, Abbvie, Takeda e Roche, giusto per citare qualche esempio, a Immunomedics è rimasto sostanzialmente l’accordo con UCB per Epratuzumab, visto che dell’accordo con Bayer (ottenuto grazie all’acquisizione di Algeta da parte di questi ultimi) non si hanno notizie da tempo, se non il ricevimento di milestones nel 2014. Immunomedics, fino a qualche anno fa, poteva contare su Takeda per l’anti-CD20 veltuzumab. Anche in questo caso la partnership ha iniziato a scricchiolare dopo che una Big ci ha messo lo zampino, visto che l’accordo iniziale è stato stipulato con Nycomed per sperimentare il farmaco in indicazioni non oncologiche (essenzialmente RA, almeno all’inizio). Poi Nycomed è stata acquistata da Takeda e sono iniziati i problemi, culminati nella restituzione dei diritti ad Immunomedics. La faccio breve, ma la questione sarebbe più lunga ed ha comportato la messa in tavola di pane per i denti dei legali di tutte le compagnie coinvolte. Il succo del discorso è che Immunomedics ha  di nuovo veltuzumab e che, a quanto dicono loro, il fatto non ha a che vedere con l’inefficacia dell’anticorpo. Sarà anche così, ma da quando veltuzumab  tornato a casa, nel 2013, non mi pare ci sia stata ressa per colmare il vuoto lasciato da Takeda.

Ora, detto che l’unica partnership di peso è legata al farmaco che potrebbe causare (con il suo fallimento) la creazione di un punto d’ingresso, che quella con Bayer è in sospeso e comunque riguarda sempre epratuzumab, che non hanno una storia di successi alle spalle e che è fondata la possibilità che la tecnologia sulla quale basano la realizzazione dei loro ADC sia decisamente inferiore a quella dei diretti concorrenti, quale potrebbe essere un buon motivo per raccogliere da terra Immunomedics? E quale sarebbe la quotazione migliore per puntare ad un acquisto?

Iniziamo dal primo aspetto. Vediamo la pipeline:

immunomedics pipeline

Epratuzumab non è l’unico farmaco in fase 3, c’è anche 90Y-Clivatuzumab tetraxetan nel trattamento del carcinoma pancreatico avanzato in terza linea. I dati di questo studio, altro evento binario possibile, sono attesi per la metà del 2016, il che potrebbe già essere un motivo interessante per puntare su Immunomedics dopo un ipotetico fallimento di epratuzumab. Ma non è sufficiente.

Ci sono due ADC in cantiere per Immunomedics. Tutti e due hanno come payload SN-38 (metabolita attivo di irinotecano), citotossico di elevata potenza, ma che non è semplice somministrare ai pazienti per due ordini di motivi: insolubilità in acqua e tossicità elevata. Immunomedics tenta di risolvere il problema coniugando SN-38 ad un anticorpo in modo che il carico venga rilasciato sul bersaglio desiderato, risparmiando i tessuti sani, grazie al linker sensibile all’abbassamento del pH che si verifica nell’ambiente tumorale. Il principio dovrebbe esservi familiare, se leggete questo blog, ma si riassume nel concetto di bomba intelligente che spesso viene impiegato: l’anticorpo prende la mira ed il carico citotossico distrugge il nemico. Sulla carta tutto sembra perfetto, nella pratica è molto più complicato: spesso il target non è dei migliori (difficilmente raggiungibile, poco espresso o espresso anche nei tessuti sani) o il carico è troppo tossico comunque e non vine rilasciato solo dove si trova il tumore, causando enormi danni al paziente. Nel caso di Immunomedics che il linker abbia qualche problema mi sembra abbastanza evidente, ma il problema si potrebbe superare a fronte di una notevole attività. Inoltre il problema, in diverse misure, sembra comune a chiunque sviluppi ADC.

IMMU-130 ad ASCO15 ha dimostrato di essere ragionevolmente tollerabile su pazienti affetti da carcinoma del colon-retto metastatico non solo pesantemente pretrattati, ma che avevano già ricevuto trattamenti a base di irinotecano. Sia chiaro, in termini di efficacia siamo lontani dall’aver ottenuto risultati strabilianti, ma in un’ottica di combinazione sembra ci possa essere spazio per IMMU-130 in future sperimentazioni. Fra i vari dosaggi e le varie modalità di sperimentazione si è pervenuti ad una sola PR (a dire il vero, ad ASCO sembra essere scomparso un paziente dalla coorte del dosaggio a 8 mg/kg) ed a molteplici stabilizzazioni della malattia, come si può evincere dalla tabella qui sotto:

immunomedics immu 130 risposte mCRC

Più interessante dal punto di vista dell’investitore IMMU-132 (Sacituzumab Govitecan), ADC con target TROP-2 impiegato nel trattamento di diversi tumori solidi. Meglio perché in questo caso si vede un reale valore ed una chiara strada verso l’approvazione, traguardo che chiaramente verrà tagliato solo a fronte di conferme in uno studio registrativo. Osservate la tabella qui sotto:

Cancer Types (N*) Objective Response** Disease Control
Triple-Negative Breast (46) (2+10) (26%) 34 (74%)
Non-Small Cell Lung (19) 6 (32%) 14 (74%)
Small Cell Lung (20) 6 (30%) 11 (55%)
Esophageal (16) 2 (13%) 9 (56%)

Il tasso di controllo della malattia nel tumore al seno triplo negativo ed in quello al polmone non a piccole cellule sono decisamente elevati, ma mentre nel secondo caso è più difficile scorgere una reale superiorità rispetto a trattamenti di nuova generazione attualmente in fase di sperimentazione, il TNBC rappresenta una ambito con disperato bisogno di nuove opzioni terapeutiche e scarsi risultati anche con l’impiego di checkpoint inibitori, che nel tumore al seno faticano a ripetere gli straordinari risultati raggiunti in altre indicazioni.

Al recente San Antonio Breast Cancer Symposium (SABCS), giusto per fare un esempio, pembrolizumab (Keytruda, anti-PD1 di Merck & Co) su pazienti molto pretrattati ed affetti da TNBC ha ottenuto un ORR del 18,5% con una risposta completa e 4 parziali oltre che a 7 SD per un tasso di controllo della malattia del 50%. D anotare che durante lo studio una paziente ha sviluppato deplezione del fibrinogeno ed è morta di coagulazione intravasale disseminata (CID o DIC per gli anglofoni).

Due CR e 5 PR per Xtandi, in base a quanto presentato ad ASCO da Medivation ed Astellas, su pazienti AR+ e TNBC per un ORR del 9,3%. Dati interessanti, ma poco impressionanti e comunque relativi ad un sottogruppo della popolazione.

I risultati più interessanti che ricordo di aver visto finora in questo ambito però sono relativi alla fase 2 a Celldex (CLDX) con CDX-011. Nello studio EMERGE, che puntava peraltro a dimostrare come l’espressione di GPNMB aumentasse l’efficacia del proprio farmaco in soggetti con tumore al seno metastatico, sono state arruolate anche donne affette da TNBC. I risultati? Una ORR del 19% con un tasso di controllo della malattia del 69% (il controllo ha fatto registrare 0% e 33% rispettivamente). Meglio ancora fra pazienti TNBC e alta espressione di GPNMB: ORR 33% e DCR 75%. In questi ultimi pazienti PFS ed OS sono stati di 3 e 10 mesi rispettivamente. Qualche considerazione rispetto ai dati di Immunomedics. Celldex ha condotto uno studio randomizzato con un controllo, aspetto positivo per la veridicità dei dati, anche se il trial era in aperto, Immunomedics non l’ha fatto. EMERGE era caratterizzato dalla possibilità che i pazienti assegnati al controllo potessero fare cross-over verso il braccio al quale veniva somministrato CDX-011, elemento che ha di certo indebolito i dati del farmaco di Celldex, basti pensare che la mOS dei pazienti passati al gruppo migliore è stata di 12,5 mesi, contro i 5,4 di chi non l’ha fatto (e si parla di 15 pazienti su 41). La PFS finora registrata su pazienti TNBC sottoposti al trattamento con IMMU-132 è stata però di 6 mesi, dato estremamente incoraggiante anche se prematuro.

In circolazione, a livello clinico, non c’è nulla di paragonabile a IMMU-132, il che non necessariamente è un male, ma avere qualcuno di importante a tracciare la via è di norma un aspetto confortante. Non validerà il target, ma ne  aumenta la consistenza. Una breve ricerca in rete sembrerebbe suggerire che Pfizer possa darmi una mano in tal senso. La compagnia sta attualmente arruolando pazienti affetti da vari tumori solidi per determinare il dosaggio massimo tollerato e la RP2D di un anticorpo coniugato chiamato PF-06664178. Sebbene il target di PF-06664178 non sia di dominio pubblico, ci sono alcune evidenze in base alle quali si tratti di un ADC che è legato in qualche misura a TROP-2, dato che fra gli obiettivi secondari vi è la determinazione dei livelli di TROP-2 nei tessuti raccolti dai soggetti arruolati.

Detto che a fronte di un crollo di epratuzumab ci potrebbe essere del valore, nel resto della pipeline, su cui puntare, a che livello il gioco vale la candela?

Credo sia realistico ipotizzare che circa metà della capitalizzazione attuale derivi dalle aspettative circa le fasi 3 in corso nel trattamento del lupus, quindi un buon ingresso potrebbe essere attorno a 2,15$. Anche immaginando che dopo la catastrofe il titolo si trovi a quotare il doppio della cassa, che ammonta a circa 100 milioni dopo l’emissione di febbraio, ci si ritroverebbe ad un valore attorno ai 2,2$ ad azione.

Tanto per fare un esempio, Anthera (ANTH) è in fase 3 con blisibimod, nei due studi CHABLIS-SC1 e CHABLIS-SC2 e capitalizza ad oggi, dopo una enorme e recente salita, circa 300M$. Se l’intero valore di Anthera al netto della cassa fosse attribuibile al potenziale nel trattamento del lupus, sottraendo questa cifra dalla capitalizzazione attuale di Immunomedics arriveremmo ad un valore di 140M$ o 1,6$ circa ad azione. Si tratta di un estremo piuttosto basso, ma prendendo tutti questi dati in considerazione un possibile punto d’ingresso potrebbe essere compreso fra 1,6 e 2,2 dollari. L’alternativa sarebbe quella di attendere che passi la tempesta e si chiariscano alcune tematiche, prima di tentare un ingresso.

E se invece Immunomedics dovesse farcela? Tanto per iniziare i complimenti a chi ci ha creduto sarebbero d’obbligo. A quel punto sarebbe il caso di guardare Immunomedics da una prospettiva differente. Per il momento però i miei occhi rimangono fissi su quel binario…