Il 2019 inizia con i fuochi d’artificio grazie a due acquisizioni degne di nota per motivi differenti. La prima, quella di Bristol-Myers Squibb (BMY) che si accaparra Celgene (CELG), è importante a livello generale per l’ammontare della cifra in ballo e per le ripercussioni che attraversano il settore in maniera trasversale. Tanti dollari in ballo, una nuova entità che si trova ad avere una pipeline mostruosa, sia per quanto riguarda gli assetti commercializzati che quelli in divenire. L’altro aspetto importante riguarda chi ha continuato a fare incetta di Celgene nonostante il mercato non premiasse affatto il titolo, per motivi che fatico ancora a comprendere del tutto.

Dal mio punto di vista la mossa di Bristol-Myers è estremamente sensata, visto che la nuova entità avrà rafforzato il settore che si rivolge ai tumori del sangue potendo già contare su una posizione invidiabile per quel che riguarda il trattamento di quelli solidi. A conti fatti si ritroveranno sotto lo stesso tetto quattro blockbuster come Opdivo,Yervoy ed i nuovi arrivati Revlimid e Pomalyst.

Questo però infuirà sulla velocità con la quale le altre compagnie punteranno a nuove acquisizioni di peso? Io non credo o, comunque, non sarà facile trovare una correlazione in futuro. Quello che penso accadrà riguarda più che altro le smid cap che si troveranno ad avere qualche problema in più. Ne avranno le compagnie che già vantano una partnership con una delle due Big (magari più dal versante Celgene) e ne avranno quelle che sono alla ricerca di un partner, visto che Celgene da quel punto di vista era parecchio attiva.

Chi rischia e chi no.

Come dicevo, venendo a mancare Celgene viene a mancare una compagnia che macina deal con le piccole biotech come se fosse il mulino a vento degli dei. Non voglio certo dire che la nuova entità si asterrà dall’inchiostrare nuovi accordi, ma un minimo di assestamento ci potrebbe essere e questo a discapito di chi è alla ricerca di un partner e magari non ha argomenti convincentissimi. Un discorso leggermente diverso si potrebbe però fare nei confronti di qualle smid cap che si occupano di terapie geniche ed affini, visto che la mossa di BMS tende in parte a coprire quelle posizioni, posizioni che mancherebbero anche al rivale principe di Bristol, ossia Merck (MRK), tanto per fare un nome. Se qualcuno volesse seguire le orme di BMS, potrebbe ritenere conveniente iniziare da li.

Chi rischia di veder finire nel tritadocumenti gli accordi presi sono quelle aziende che assieme a Celgene sviluppano checkpoint inibitori, ad esempio. Uno dei primi nomi che mi viene in mente è Jounce (JNCE), legata alla nuova Bristol sia attraverso JTX-2011, anticorpo monoclonale che si lega ad ICOS, che (anche se in misura minore) all’anti-PD1 JTX-4014.

Anche BeiGene (BGNE) ha firmato un patto lucroso con Celgene riguardo un anti-PD1, segnatamente BGB-A317. La compagnia cinese però ha un asso nella manica che la potrebbe rendere comunque interessante agli occhi di Bristol, ossia il vantaggio in termini di tempo nel poter commercializzare il farmaco nel paese del Dragone.

OncoMed (OMED) rimane imparentata con Celgene attraverso etigilimab (anti-TIGIT) e rosmantuzumab (anti-RSPO3). Qui non vedo preoccupazioni specifiche al di la dei possibili demeriti degli assetti. Presto per bollarlo, ma l’anti-TIGIT sembra funzionare poco.

Sutro (STRO) con Celgene ha in comune un programma relativo al target BCMA ma l’approccio è differente da quanto visto finora in quel segmento, si tratta di aggredire il mieloma multiplo impiegando anticorpi coniugati ad un payload citotossico. ADC in parole povere. In fase ancor più acerba, ma sempre in ambito preclinico, un programma su anticorpi bispecifici che non fa mai male in questo periodo.

Simile ambito per Zymeworks (ZYME) che con Celgene non aveva comunque inbandito una tavola particolarmente ricca in termini di milestones e royalties.

C’è (o per meglio dire, c’era) anche LOXO…

Altro accordo molto interessante quello fra Lilly e LOXO. Non si parla delle stesse cifre che ballano fra Bristol e Celgene ma gli 8 miliardi di dollari sono comunque una cifra impressionante. Sembra ieri quando proprio in questo blog iniziai a parlare di due compagnie sconosciute come Ignyta e LOXO, eppure di strada ne è stata fatta tanta e per tutte e due il traguardo è stato un’acquisizione, nel caso di Ignyta da parte di Roche.

Lilly graizie a LOXO acquisisce Vitrakvi, TRK inibitore già approvato da FDA che ha sostanzialemnte permesso a LOXO di esistere (ma di questo parlerò dopo), LOXO-292 (un RET inibitore), LOXO-305 (un BTK inibitore) e LOXO-195 (altro TRK inibitore sviluppato assieme a Bayer).

Acquisendo LOXO il processo di trasformazione di Lilly verso una compagnia con sempre crescente focus sull’oncologia procede in modo impeccabile mentre il messaggio recepito dal resto del settore è che lo spazio per le terapie mirate c’è ancora, che non si vive solo di checkpoint e CAR-T.

Epyzyme (EPZM)  ed Agios (AGIO) sono due nomi che ben si prestano ad accostamenti con quanto accaduto a LOXO e che, visto che siamo in tema, hanno anche svariati accordi con Celgene.

…e Array Biopharma.

Quello che accomuna tutte e due le vicende, anche se in modo un filino stiracchiato, è che Array Biopharma (ARRY) ha avuto ed ha tuttora rapporto con Celgene, sia diretti che indiretti (via VentiRx) e che senza l’azienda del Colorado LOXO non esisterebbe. LOXO vede la luce nel lontano 2013 praticamente in contemporanea con l’accordo siglato con Array circa un pan TRK inibitore che da li a pochi anni sarebbe stato l’oggetto del desiderio di Lilly. Non solo, praticamente l’intera pipeline di LOXO ha avuto origine da Array (LOXO-292 e LOXO-195 sono made in Colorado, LOXO-305 arriva dall’acquisizione di Redx).

Nel 2014 la compagnia sbarca sul Nasdaq quotando $13 e meno di cinque anni dopo se ne esce quotandone 230. Non male considerando che, detto in maniera volutamente molto semplicistica, il merito maggiore del management è stato quello di andare da Array e dire: “Voglio questo!”

L’approccio “targeted” per LOXO ha funzionato alla grande e per arrivare a ciò si sono rivolti ad una compagnia che in tal senso è versatissima, considerando che 4 asseti della loro pipeline, fra proprietari e concessi a partner, sono stati approvati (e uno solo di questi in Cina).

Da questo punto di vista sarebbe naturale pensare ad Array come un obiettivo di mercato, parafrasando il mondo del calcio, eppure la storia insegna che aziende simili non vengono di solito acquisite. Il motivo, paradossalmente, è che hanno troppi partner a cui hanno ceduto i diritti dei loro assetti.

Ci sono sempre le eccezioni, chiaro. Molti di voi ricorderanno Astex, azienda che ha campeggiato nel portafoglio biotech di questo sito ed in quello dei portafogli di molti lettori fino a quando è stato estromesso a forza dopo che Otsuka si è comprato baracca e burattini, regalando un cospicuo gain agli azionisti. Astex era a quel tempo molto simile ad Array in termini di capacità di generare composti estremamente validi (tanto per fare un esempio, ribociclib è roba loro, poi è arrivata Novartis) ma sostanzialmente viveva di royalties e milestones, a differenza di Array che commercializza già due assetti (MEK/BRAFi).

Blueprint Medicine e Deciphera.

Il nome di Blueprint Medicine (BPMC) come possibile destinatario di una proposta di acquisizione gira parecchio in questo periodo, ed a ragione: molte sono le similitudini con LOXO.

In primo luogo sta sviluppando assetti destinati a trattare tipologie di tumori caratterizzate mutazioni identificabili che costituirebbero una nicchia che potrebbe essere espansa in modo significativo in tempi normali. Basta dare uno sguardo all’immagine che vi riporto qui sotto per rendersene conto, sono riportate le indicazioni circa la tipologia di pazienti da trattare e la tempistica con la quale intendono presentarsi al cospetto di FDA:

blueprint medicine bpmc pipeline

Blueprint Medicine (BPMC) – Pipeline

Come si può notare Blueprint e LOXO sono simili anche nella scelta dei target ma è la capacità di perseguire un bersaglio geneticamente ben definito che le rende perfettamente comparabili.

Volendo mettere in watchlist qualcosa di meno dispendioso (in termini di capitalizzazione) mi permetto di segnalare Deciphera (DCPH). Anche qui ci sono delle somiglianze ma dal punto di vista della pipeline quest’ultima ricorda più Blueprint per via del candidato principale, Ripretinib, un inibitore di Kit e PDGFR alfa. Nel caso vi interessi, questi gli eventi attesi per l’anno in corso:

Deciphera (DCPH) - Milestones

Deciphera (DCPH) – Milestones

In conclusione, il 2019 inizia con un certo brio ma questo non mi pare sufficiente per dissipare le oscure nubi addensate all’orizzonte. Troppo melodrammatico? Forse avete ragione, in realtà quello che volevo scrivere era: buon anno!