Mi trovo in quel periodo dell’anno nel quale non posso fare a meno di pensare alla frutta secca, al sanguinaccio, alla neve che forse arriva e forse no. Riguardo quest’ultimo punto non che mi cambi moltissimo, ma se arriva la neve e devo fare l’aperitivo a bordo pista so che ci devo andare mezzora prima, altrimenti mi fregano il tavolo.

A dicembre, fosse per me, scriverei solo di vin brulè, dei film natalizi (“Gremlins”, “Piramide di paura” e “Una poltrona per due”, giusto per buttar li qualche titolo), ma immagino che stiate leggendo queste pagine perché vi interessa sapere cosa è successo ad ASH18 e cosa ci aspetti il futuro dopo questo meeting. Togliamoci questa incombenza in modo da poter volgere nuovamente la nostra attenzione su Asterix ed Obelix.

Déjà vu.

Mentre vi scrivo queste parole la mia mente vaga ad un articolo che ho scritto lo scorso anno, per ASH17. Sono andato a rileggerlo perché avevo una forte sensazione di déjà vu. Non mi sbagliavo: passato un anno i temi sono gli stessi, i vincitori e i vinti quasi.

Iniziamo da chi se la passa bene. Pur avendo apportato un contributo allo svolgimento del meeting vicino ai meno 273 gradi centigradi, c’è un vincitore assoluto che emerge da ASH: ArgenX (ARGX). Il motivo? L’anti-CD70 sviluppato dalla bio belga e denominato ARGX-110 finisce nella rete di Cilag, sussidiaria di Jannsen, a sua volta sussidiaria di Johnson & Johnson. A forza di sussidiare si penserebbe ad un accordo misero, niente di più lontano dalla verità:

  • l’elevatissima cifra di $300M in upfront
  • $200M investiti direttamente nell’azienda acquistando azioni al valore di $100 cadauna (pari al  4.68% della compagnia belga)
  • fino a $1.3 miliardi di dollari in milestones e royalties in doppia cifra.
  • Argenx ha anche la possibilità di partecipare alla commercializzazione dell’anticorpo negli States.

Si tratta di una vera e propria montagna di danaro per la compagnie belga che si ritrova, per il secondo anno di fila, a rubare la scena a ben più attese rivali. ArgenX a questo punto si trova con soldi, partner di un certo livello ed un futuro che appare radioso. Dovesse ripresentarsi a livelli di saldo (diciamo in zona $60) sarà da valutare attentamente.

Se volessimo interpretare in maniera trasversale quest’ultimo accordo potremmo dire che la notizia interessa in parte Celldex (CLDX) ed il suo varlilumab. Quest’ultimo è un anticorpo con target CD27, ossia il ligando di CD70, quindi si sarebbe tentati di ipotizzare che possa avere lo stesso successo di ARGX-110. Sfortunatamente, si tratta di una pia illusione. Celldex è ancora in ballo nel trovare una strada per varlilumab, ma sembra più che altro indirizzata verso il trattamento dei tumori solidi.

Anche Aduro (ADRO) è in ballo con un anticorpo anti-CD27 derivante dall’acquisto di BioNovion, azienda che qualche anno addietro attirò Merck (MRK) al punto di trasformarla in partner a fronte di $15M, qualche milestones e royalties. Orbene, con uno sforzo economico simile Aduro si è accaparrata BioNovion, partner compreso, il che da la misura di quanto poco interesse ci sia nel progetto o, quantomeno, del rischio percepito attorno ad esso.

Anche la privata Apogenix ha un programma simile, ma ancora in fase preclinica e senza partner.

In conclusione, può l’accordo di ArgenX essere visto in ottica positiva per Celldex ed Aduro? No, tuttavia a questi livelli tutte e due le compagnie meritano un approfondimento.

Bispecifico è meglio (?)

Regeneron si presenta ad ASH18 con REGN1979, un anticorpo anti-CD20xCD3 che ha fatto registrare un tasso di risposte complete dell’80% in pazienti con linfoma follicolare recidivo/refrattario (rrFL). Va detto che il tasso di risposta in quell’indicazione è generalmente alto e che la compagnia ha portato i dati di solo 10 pazienti, ma il risultato rimane di estremo interesse ed assegna a REGN1979 un ruolo chiave nel futuro di Regeneron, sia impiegato da solo che in combo, in modo particolare con il loro anti-PD1 Libtayo.

Anche qui, la concorrenza non manca ed il primo nome della lista appartiene a Roche: mosunetuzumab. Se ci si limita al trattamento del rrFL non sembra esserci gara al momento, ma allargando il campo le cose cambiano, questo a testimonianza del fatto che l’approccio sembra essere assolutamente sensato. Che CD20 sia un target ottimale lo sappiamo da quando rituximab ha rivoluzionato il trattamento di moltissime indicazioni, ma che l’approccio bispecifico reclutando CD3 abbia una così grande efficacia apre scenari ovviamente non inediti, ma con risvolti importantissimi.

Arrivo a sostenere che questo ASH è testimone del cambio di velocità di due modi di realizzare il reclutamento delle difese immunitarie dell’organismo: da una parte abbiamo le terapie geniche basate su CAR-T e dall’altra parte gli anticorpi bispecifici. Mi sento di dire che per quanto riguarda il primo approccio l’abbrivio iniziale sta scemando, mentre i bispecifici iniziano a mettere le marce alte. Niente sorpassi o sportellate in corso, semplicemente cambi di velocità, per ora.

Vi porto un altro esempio.

Amgen (che ha il merito di aver ottenuto il primo via libera di FDA per un bispecifico, blinatumomab) ha presentato ad ASH i dati aggiornati di due costrutti che hanno il compito di reclutare linfociti T via CD3: AMG420, che ha coma target anche BCMA ed AMG330 che si lega a CD33. Il primo è studiato per trattare il mieloma multiplo (MM), il secondo la leucemia. Leviamo subito dall’equazione AMG330 che non ha certo entusiasmato, rimane AMG420 che già lo scorso settembre aveva mostrato cifre di tutto rispetto, anche se solo inerenti pochi pazienti (5, tutti con CR). Al meeting appena trascorso il tasso di risposta crolla in modo evidente, tuttavia il dato va un minimo interpretato. Detto che dei 42 pazienti sottoposti al trattamento solo 13 hanno ottenuto una risposta, va anche segnalato che al dosaggio raccomandato per la fase 2 il tasso di risposta sale al 70% (7 su 10).

Mieloma multiplo e linfomi sono le indicazioni principali nelle quale si sono mosse le prime terapie CAR-T ed emerge quindi con chiarezza che in questi ambiti CAR-T e bispecifici possano sovrapporsi, il che si tradurrebbe in un beneficio per i pazienti, ma in qualche grattacapo in più per le aziende e le loro presunte posizioni di vantaggio derivanti dalla prima mossa.

So a cosa state pensando: BCMA, bispecifici, linfoma? Quindi Affimed (AFMD)! Un po’ di pazienza, manca qualcosa nel mezzo.

BCMA, si diceva…

Nanjing Legend è una manna dal cielo per un blogger che è rimasto a corto di argomenti. Lo sarebbe anche per un giallista, a dire il vero. Gli ingredienti ci sono tutti: una compagnia biotech cinese che sbanca il botteghino con una terapia genica che sembra non temere concorrenza, tanti soldi che le piovono addosso da ogni cantone, Johnson & Johnson compresa, un misterioso attacco shortista di dimensioni gargantuesche e per finire una presentazione ad ASH a metà fra l’imbarazzante ed il tragico.

Per chi si fosse perso le puntate precedenti, Nanjing Legend si è fatta conoscere grazie alla terapia CAR-T anti-BCMA chiamata LCAR-B38M. Visti i risultati eclatanti si è accaparrata una partnership importante come quella di Johnson & Johnson la quale ha iniziato subito un trial negli USA (anche qui c’è qualcosa di poco chiaro, ma per il momento vi risparmio i dettagli).

In occasione di ASH18 la curiosità era alta poiché ci si aspettava dati aggiornati che confermassero quanto di buono fatto vedere finora. Inutile dire che qualcosa è andato storto.

Il nocciolo della questione riguarda l’attacco da parte di una organizzazione chiamata Flaming Research la quale ha affibbiato un eloquente Strong Sell a Genscript (compagnia madre di Nanjing Legend). Fra le varie motivazioni spicca la poca trasparenza, per usare un eufemismo, circa la divulgazione dei dati inerenti LCAR-B38M. Risultato? Pioggia di vendite e titolo a picco. Sebbene Genscript abbia risposto, molti dubbi rimangono. Vi sintetizzo la questione nel modo più indolore possibile.

Ad ASH Nanjing presenta l’aggiornamento dei dati che iniziarono a circolare ad ASCO17 e riferiti a 57 pazienti arruolati in un unico centro: Xi’an Jiaotong University (o più semplicemente 西安交通大學第二附屬醫院 … immagino che l’accento vada sull’ultimo carattere, quello con la ciotola di zuppa appoggiata su pi greco). Coinvolti nel trial ci sono però altre istituzioni delle quali si parla poco: lo Shanghai Ruijin Hospital (上海瑞金醫院), lo Shanghai Changzheng Hospital (上海長征醫院) e lo Jiangsu Province People’s Hospital ( 江蘇省人民醫院). Ora, stando a quanto riportato da Genscript nel rispondere all’attacco di Flaming Research:

Legend has completed 74 cases in China with consistent effectiveness and safety supported by historical data.

Se sottraiamo dal totale i 57 arruolati dalla Xi’an Jiaotong University rimangono 17 pazienti da suddividere nei rimanenti 3 istituti; di 11 di questi sappiamo grazie ai dati presentati ad ASH17, degli altri non mi pare sia dato sapere nulla. Se confrontiamo l’andamento del tasso di risposta concentrandoci sui dati di ASH18 ed ASCO17, tutti inerenti i soggetti trattati alla Xi’an Jiaotong University, la ORR passa dal 100 all’88%, aumenta il tasso di CR (dal 43 al 74%) ma aumenta anche in maniera sensibile il numero di recidive: da 2 a 14. In aggiunta a questo Nanjing ha confermato una morte dovuta a sindrome da rilascio di citochine (CRS) che sembra essere legata alla terapia.

Risultati altalenanti per Celgene: molto bene con FCARH143, 100% ORR su pazienti con l’incredibile cifra di 11 precedenti terapie, qualche problema in più per JCARH125 che vede un paziente morto per CRS, tasso di risposta simile a quello di Nanjing ma su pazienti molto più malati. Molto interessante anche bb21217 (sempre frutto della partnership con bluebird bio): ORR 83% e cenni di persistenza delle cellule modificate nel corpo dei pazienzi, ad indicare la possibilità che gli effetti benefici possano avere una durata maggiore nel tempo.

Bispecifici, BCMA, è tempo di parlare di Affimed?

No, ancora un attimo di pazienza.

Se da una parte vi dicevo che ho avuto la netta sensazione che i rapporti di forza fra CAR-T e bispecifici stiano cambiando, un evento recente e che esula da ASH18 sta turbando il nuovo Equilibrio.

Macrogenics (MGNX), compagnia che in passato è stata oggetto di interesse da parte mia in diverse occasioni, è stata recentemente colpita da un fermo parziale inerente sia uno studio in fase 1 che vede somministrato MGD009 (un bispecifico che ha come target B7-H3×CD3) in monoterapia che in combo con MGA012 (anti-PD-1). In base a quanto imposto da FDA i pazienti arruolati possono ricevere i trattamenti a loro assegnati senza variazione di dosaggio, ma nessun nuovo paziente sarà inserito nel trial finché l’hold rimane in essere.

Il motivo di questo provvedimento risiede nel fatto che dallo studio in monoterapia è emerso l’insorgere di complicazioni a livello epatico, segnatamente l’innalzamento (temporaneo) di transaminasi ed in alcuni casi di bilirubina. Sebbene non sembri a prima vista un problema insormontabile Macrogenics ha comunicato ad FDA di voler apportare modifiche al disegno dei trials per evitare problematiche maggiori in futuro, il che tradotto in termini più semplici significa che qualcosa che non va c’è comunque.

Ora, Macrogenics ha precisato che l’innalzamento dei valori epatici è stato causato da un’intensa attività dei linfociti T e che la situazione è stata controllata semplicemente somministrando al paziente tocilizumab, farmaco di Roche approvato recentemente per il trattamento della CRS insorta in caso di terapie CAR-T. Risulta evidente il fatto che, in questo caso, la presunta maggior tollerabilità rispetto alle terapie CAR-T rischia di andare a farsi benedire.

Macrogenics si dice convinta che a gennaio la situazione sarà sbloccata, il che però potrebbe essere solo una mera illusione. L’aspetto più interessante è che questo tipo di scivolone può avere, specialmente in questo periodo, conseguenze più estese a tutte quelle compagnie che si occupano di bispecifici.

La domanda infatti è: l’incidente di Macrogenics da cosa è dipeso?

In realtà ci possono essere diverse spiegazioni. Qualche analista ha suggerito la possibilità che il problema non sia legato alla tipologia di anticorpo ma all’antigene tumorale verso il quale è diretto. B7-H3 è espresso, in una certa proporzione, anche nei tessuti sani del fegato. Ammesso e non concesso che questo possa spiegare quanto accaduto, va notato che Macrogenics ha altri due assetti che hanno come target B7-H3: MGC018 (come indica la lettera C nel nome si tratta di un anticorpo coniugato ad un citotossico) ed enoblituzumab, anticorpo attualmente in fase 2. Eppure, fino ad ora, questa problematica è stata rilevata solo nel bispecifico con target CD3, a suggerire che parte del problema potrebbe essere proprio questo modo di reclutare i linfociti T.

Adesso parliamo di Affimed…

In una versione precedente di questo articolo prima di parlare di Affimed c’era un altro intermezzo dedicato a Macrogenics e ad un misterioso assetto di Incyte (INCY), ma lo metto da parte per un’altra occasione. Concentriamoci sui tedeschi ora, rimettiamo a posto i vari pezzi.

Diversi bispecifici con caratteristiche simili hanno creato problematiche di tollerabilità, compreso AFM11, anti-CD19xCD3 di Affimed. Alla luce di questi eventi è lecito credere che lo sviluppo di bispecifici che reclutino linfociti via CD3 sia da guardare con estrema cautela, anche se credo ci siano distinguo da fare in funzione di come l’anticorpo è costruito.

Se a questo si aggiunge il fatto che anche l’antigene CD19 ha i suoi problemi (indipendentemente dal tipo di trattamento), che l’apripista blinatumomab non sta facendo brillare gli occhi ai ragionieri di Amgen e che i dati portati da Affimed ad ASH non fanno gridare a miracolo, la mia convinzione che i problemi di AFM11 non terminano con la rimozione dell’hold di FDA permane invariata.

Discorso leggermente diverso per AFM13 che una sua strada potrebbe anche trovarla visto che finora ha mostrato di essere efficace e non ha dato particolarmente adito a cattivi pensieri circa il profilo di tollerabilità.

Quello che si può considerare un rovescio della medaglia degno di considerazione è che Affimed può contare su una tecnologia di bispecifici che non sono basati sul coinvolgimento di CD3, che punta ad un target interessante come BCMA (ancorché si trovino in una stanza piuttosto affollata) e che può vantare su di una partnership di peso con Genentech e, nessuno me lo leva dalla testa, di un asso nella manica che il mercato ancora non sconta. Minimo comune denominatore di tutto questo è la piattaforma ROCK.

Affimed da ASH18 esce sostanzialmente rafforzata anche se il problema maggiore della compagnia rimane invariato: il management. Affimed ha cassa fino al 2021, anche se non escluderei qualche movimento molto prima, una pipeline diversificata e scadenze interessanti già a partire del 2019.

La mia opinione circa la bontà del titolo esce rafforzata dall’ultimo meeting, ma se volete guardare anche in altre direzioni avrei un’altra compagnia da segnalarvi.

… e di Zymeworks.

Prometto di tornare sull’argomento con maggiore dovizia di particolari, ma al momento voglio darvi un’infarinata generale che potrà essere utile a chi non conosce la compagnia. Zymeworks (ZYME) è una società canadese ed io non vado matto per le biotech provenienti da quell’area geografica, tuttavia ha degli aspetti che la rendono meritevole di attenzione. Tanto per iniziare è quotata negli States ed ha una serie di piattaforme piuttosto interessanti che spaziano dalla realizzazioni di anticorpi bispecifici a quella di coniugati con payload citotossici e non disdegna la realizzazione di composti che possono essere presi in considerazione per sostituire gli anticorpi, in un modo simile a quello di altre aziende delle quali mi sono occupato con soddisfazione come Pieris (PIRS). Altro punto a favore, ha due programmi in fase avanzata per i quali ha già un partner, segnatamente Beigene (BGNE) ed una marea di programmi preclinici dei quali sono in parte proprietari esclusivi. Quelli che sfuggono a questa definizione sono nelle mani di Lilly (LLY), Merck (MRK), Johnson & Johnson (JNJ), Daiichi Sankyo, Leo Pharma, GlaxoSmithKline (GSK) e Celgene (CELG). Il totale delle milestones che potrebbero incassare se tutti gli obiettivi venissero centrati è di oltre 7 miliardi di dollari.

Gli aspetti negativi? Non è proprio regalata (a $12 sarebbe più interessante) e la maggior parte degli accordi sono stati fatti in un periodo (almeno, così immagino io) nel quale serviva pecunia, quindi non sono vantaggiosissimi.

Va però detto che Zymeworks a settembre aveva in cassa $150M di dollari, ai quali vanno aggiunti i $60M provenienti dall’ultimo deal con Beigene, il che dovrebbe mettere al sicuro da spiacevoli sorprese nel medio termine. Altro aspetto degno di nota è gli ultimi deal siglati sembrano suggerire la possibilità che Zymeworks abbia acquisito un magior potere contrattuale, il che si nota anche dai pagamenti anticipati che hanno ricevuto.

Curis, Celgene e Karyopharm.

Curis è sprofondata a livelli indegni ed ASH18 non ha aiutato la causa. Poco o nulla è stato presentato durante il meeting per invertire la rotta cone le maggiori speranze riposte ora in CA-4948, IRAK4 inibitore nelle prime fasi di sviluppo. Dati più corposi ed indicativi arriveranno nel 2019, quindi questo periodo di prolungata e sofferente debolezza potrebbe essere un punto di ingresso favorevole, considerando comunque che la compagnia ha meno di $30M in cassa ed un cash burn rate di $8M a trimestre che si traduce in una richiesta agli azionisti che arriverà in tempi ristretti.

Celgene ha presentato, come al solito, una quantità immane di dati. Piuttosto interessanti quelli relativi a luspatercept nel trattamento di pazienti affetti da anemia associata a beta talassemia o sindromi mielodisplastiche. I dati aggiornati dimostrano che i soggetti trattati con la proteina di fusione di Celgene hanno notevolmente meno bisogno di trasfusioni rispetto alla miglior terapia disponibile. Anche JCAR017 si è difesa egregiamente, permettendo di conseguire una risposta a 13 pazienti su 16 affetti da leucemia linfocitica cronica/linfoma a piccoli linfociti (CLL/SLL) una risposta. Da notare che i soggetti trattati avevano già ricevuto ibrutinib e che 7 di questi hanno fatto registrare una risposta completa.

Tutti e due gli assetti sono arrivati a Celgene attraverso partner, segnatamente Acceleron e Juno e la stima delle potenziali vendite combinate dei due si aggira attorno ai cinque miliardi di dollari. Se a questo si aggiunge bb2121 da bluebird bio, del quale vi ho parlato poco prima, appare evidente che il cielo è limpido se si guarda in quella direzione, più scuro e minaccioso se si guarda verso ozanimod e fedratinib. Per quanto mi riguarda, rimango ottimista circa il fatto che la compagnia torni ai livelli che le competono e Celgene rimane un buy.

Karyopharm ha presentato i dati relativi alla sopravvivenza dello studio SADAL nel quale il loro candidato in fase più avanzata selinexor ha permesso di ottenere un tasso di risposta che rimane superiore al 30% e, cosa più importante, risposte durature, oltre le più rosee aspetattive, per conto mio. A questo va aggiunto il fatto che, stando alla compagnia, quando FDA le ha concesso la fast track l’agenzia americana aveva già per le mani i dati di SADAL, il che potrebbe deporre a favore dell’ipotesi di un’approvazione accelerata sulle basi dello studio in corso. Anche qui, per conto mio siamo in presenza di una compagnia da avere in portafoglio, anche in considerazione del possibile primo semaforo verde per selinexor previsto per aprile 2019.

Ora, se non ci sono domande, passerei alla realizzazione della mia playlist natalizia su Plex. Si accettano consigli.