L’American Society of Hematology (ASH) si appresta ad entrare nel vivo e qualche prima considerazione si può già fare. Mi sembra che al momento il tema più caldo riguardi il trattamento della mielofibrosi (MF) e che a gettare benzina sul fuoco ci staia pensando Imetelstat di Geron (GERN), farmaco del quale vi ho parlato tempo fa. L’azienda è stata anche nel portafoglio biotech, sfortunatamente l’ho venduta per mancanza di pazienza prima che la quotazione passasse dalla zona del dollaro a quella dei 5 biglietti verdi. Dopo che l’absract di Imetelstat è stato reso pubblico, molti si sono chiesti il reale peso dei dati presentati, ponendo alcune interessanti questioni che, a mio modo di vedere, non cambiano il succo del discorso: Imetelstat rimane decisamente interessante. A dirla tutta,  i ricorda CYT 387, JAK inibitore dalle intriganti proprietà in merito al trattamento della mielofibrosi con risvolti unici dal punto di vista dell’anemia. Il composto apparteneva ad YM Biosciences ed anche quello si trovava nel portafoglio biotech ma in quel caso ebbi pazienza e Gilead fece un sol boccone della compagnia, nonostante parecchio scetticismo riguardo il reale valore dei dati del farmaco.

Questi sono i dati riportati nell’abstract:

Results: Thirty-three patients were accrued; the first 18 patients enrolled and followed for a minimum of 3 months or discontinued are presented in this abstract: 11 cohort A and 7 cohort B; 44% PMF, 33% post-PV MF and 22% post-ET MF. Median age was 68 years and baseline risk was high in 56% and intermediate-2 in 44%. Seven patients were transfusion-dependent. Median spleen size was 13 cm and 11 patients had constitutional symptoms. Karyotype was abnormal in 7 patients and 89% were JAK2-mutated. Fifteen (83%) patients were previously treated including 7 with a JAK inhibitor and 3 with pomalidomide.

i)                    Toxicity

At a median f/u of 3.2 months, 16 (89%) patients remain on treatment; the two discontinuations were from unrelated death and disease progression.  In cohort A, there were no grade-4 treatment-related adverse events; grade-3 events were limited to thrombocytopenia in 27% and anemia in 9%. In cohort B, two (29%) patients experienced grade-4 thrombocytopenia; grade-3 events were limited to thrombocytopenia, neutropenia and anemia in one patient each. Dose reduction was necessary in only two (11%) patients because of grade 3 or 4 myelosuppression.

ii)                  Efficacy

Overall response rate was 44%. This included five (28%) patients who met the BM and peripheral blood morphologic criteria for CR (n=4) or PR (n=1) and 3 patients with clinical improvement, pending validation of response duration and resolution of drug-induced grade-1 thrombocytopenia. The four (22%) CR patients experienced reversal of BM fibrosis and recovery of normal megakaryocyte morphology. Two CR patients were transfusion-dependent at baseline and became transfusion-independent. Complete molecular responses were documented in 2 CR patients: one hadU2AF1Q157P and 10% JAK2V617F and the other SF3B1K666E and 50% JAK2V617F. A third CR patient had a >50% reduction in U2AF1 469_insAGTATG mutation. Among 13 patients with leukocytosis, 10 (77%) normalized their count or had >50% reduction. Eleven (61%) patients had complete or partial resolution of leukoerythroblastosis.

 

Gli aspetti importanti riguardano la tipologia di pazienti arruolati. L’abstract riporta i dati di 18 pazienti con un minimo di 3 mesi di follow up, quindi sono numeri ancora acerbi ma che danno una misura del potenziale valore del farmaco. Sette di questi pazienti sono stati precedentemente trattati con JAK inibitori e quasi tutti mostrano una mutazione JAK2, quindi una popolazione ben definita e bisognosa di terapie efficaci.

Seguo l’ordine dell’abstract ed inizio con la tossicità. Solo 2 dei 18 pazienti hanno abbandonato lo studio e per motivi non legati al farmaco. Come dicevo inizialmente si tratta di dati relativi ad un follow up piuttosto breve, quindi non mi pare il caso di enfatizzare troppo questo aspetto. Solo 2 sono stati gli eventi avversi di rado 3 (in tutti e due i casi trombocitopenia e solo in due casi è stato necessario ridurre il dosaggio del farmaco a causa di mielosoppressione. Gli effetti collaterali più evidenti sono, oltre alla già citata trombocitopenia (abbassamento del numero di piastrine in circolo), neutropenia ed anemia.

Per quanto riguarda l’efficacia il tasso di risposta è stato del 44%, ma il dato più interessante riguarda i pazienti che hanno conseguito una CR per quanto riguarda sia il midollo osseo (la malattia è causata da un accumulo di cellule maligne nel midollo, le quali poi innescano una risposta infiammatoria che causa cicatrici che pian piano si sostituiscono al midollo) sia per quanto riguarda l’analisi morfologica attraverso striscio di sangue periferico. Ora, che queste vengano considerate o meno CR (che poi è l’oggetto del dibattito) non si può negare che esistano segni di attività del farmaco slegate dal solo trattamento dei sintomi della malattia, come accadeva in passato per gli JAK inibitori, Jakafi in testa. Imetelstat mi sembra differenziarsi quel tanto che basta da Jakafi da essere interessante dal punto di vista dell’investitore e non escluderei a priori una combo con un JAK inibitore, magari non quello di Incyte, ma perché non con CYT 387, ora battezzato da Gilead momelotinib.

Veniamo al capitolo JAKi. Jakafi continua a garantire un vantaggio in termini di sopravvivenza nei pazienti affetti da mielofibrosi rispetto al placebo ed il beneficio aumenta col passare del tempo di osservazione, come dimostrano i dati della fase 3 COMFORT-1. Questo fatto non deve far passare in secondo piano l’importanza di un eventuale trattamento come quello di Geron, visto che il reale significato dell’aumento di sopravvivenza garantito da Jakafi è ancora tutto da comprendere.

Altro discorso invece per quanto riguarda i secondo JAKi sperimento da Incyte: INCB 039110 (‘110 per comodità). In questo caso ci troviamo di fronte ad un JAK1 inibitore, elemento che inizialmente poteva generare parecchio interesse ma che, alla luce dei dati finora emersi, non sembra essere in grado di garantire una maggiore efficacia se paragonato a Jakafi o ad altri JAK inibitori. Non mi sento di escludere però che ci possano essere altre indicazioni più interessanti nelle quali testare il farmaco e la prima che mi viene in mente è l’artrite reumatoide (AR), ambito ne quale si è già distinto ‘634, JAK1 inibitore di Galapagos NV.

Brutte notizie anche per la concorrenza, visto che fedratinib di Sanofi ha fatto registrare una simile efficacia rispetto a Jakafi ma con un profilo di sicurezza poco incoraggiante. Meglio va a Bristol-Myers Squibb con BMS 911543, JAK2 inibitore che ha permesso a 8 pazienti su 11 (73%) di ottenere una riduzione del volume splenico (uno dei modi di misurare il beneficio dei farmaci per trattare la MF) con il particolare interessante costituito dal fatto che il beneficio riguarda sia pazienti JAKi naive che pazienti già trattati con JAKi. Giusto come termine di paragone fedratinib ha ottenuto una riduzione di volume splenico nei due dosaggi ai quali è stato somministrato pari al 47 ed al 49%, Jakafi nel trial COMFORT 1 pari al 42% e ‘110 nel dosaggio più alto al 75% ma con profilo di sicurezza peggiore.

Dai dati che emergono finora mi pare di poter dire che la reale alternativa a Jakafi continui ad essere momelotinib ma che si debba tenere in grande considerazione Imetelstat, del quale si attendono dati più maturi. Se l’effetto sull’anemia non è particolarmente vantaggioso rispetto a momelotinib, lo potrebbe essere nei confronti di Jakafi, rispetto al quale potrebbe essere più efficace qualora Geron dimostrasse di poter trattare anche i sintomi della malattia (nel caso specifico l’aumento di volume della milza).

Geron attualmente capitalizza 650 milioni di dollari, cifra non esattamente bassa per quanto visto finora ma che ancora incorpora una certa dose di scetticismo in merito al reale funzionamento del farmaco. L’aspetto più importante è che se Imetelstat continuerà a garantire questi risultati sarà il primo farmaco a curare la mielofibrosi e non i suoi sintomi.

Come curiosità vorrei poi segnalare un abstract piuttosto interessante che riguarda uno studio pre-clinico condotto su modelli murini (cioè su topi) in merito alla possibile interazione fra Jakafi e Sonidegib. Sonidegib, il nome dovrebbe avere qualcosa di familiare, è un Hedgehog inibitore simile ad Erivedge (una volta conosciuto come vismodegib) di Curis (CRIS). I primi dati suggeriscono che la combinazione possa essere interessante e che i benefici siano maggiori rispetto all’impiego dei singoli farmaci anche per quel che riguarda il volume splenico, come evidenzia l’immagine qui sotto:

mielofibrosi ruxolitinib e hh inibitore ash13 Paper_64380_abstract_111234

Dettaglio di primaria importanza è che si osserva una diminuzione delle mutazioni dell’allele nel midollo osseo, cosa che Jakafi da solo non riesce a produrre. Inutile dire che un vantaggio di Sonidegib non farebbe altro che bene a Curis…