Ieri ArQule (ARQL) ha annunciato che la fase 3 di Tivantinib nel tumore del polmone chiamata MARQUEE è stata fermata per futilità, non avendo nessuna possibilità di centrare l’endpoint primario, ossia dimostrare di poter garantire una maggior sopravvivenza rispetto al controllo. In parole povere, lo studio non poteva andare avanti, ArQule ha fallito.

Non cambio del tutto idea sul farmaco e nemmeno sulla compagnia, ma sarei un ipocrita se non dicessi che come investimento è stato un disastro. Penso di aver sottovalutato il rischio e che un bagno di umiltà mi faccia bene. Sfortunatamente i bagni di umiltà in borsa si fanno nuotando nel sangue, ed è quello che mi è successo. Non posso fare a meno di sentirmi in colpa per chi abbia subito le stesse sorti per colpa mia.

Fatta questa doverosa premessa, vediamo di capire cos’è ArQule oggi e quanto può valere.

Tivantinib è un MET inibitore che finora aveva dato il meglio di se in pazienti selezionati, mentre nella cosiddetta popolazione ITT, cioè sul totale dei malati da trattare, non era riuscito ad impressionare. Il motivo per il quale l’interesse era elevato nel farmaco di ArQule, tanto da aver garantito un numero elevato di milioni di dollari derivanti dai due partner nello sviluppo del farmaco, Daiichi Sankyo e Kyowa Hakko, stava nel fatto che nei pazienti MET+ i risultati negli studi erano impressionanti.

La fase 3 appena fermata ha arruolato un migliaio di pazienti indipendentemente dall’alta espressione del gene cMET, anche se visto che la condizione non è di certo rara, una buona parte dei pazienti partecipanti allo studio erano l’ideale target della terapia di Tivantinib.

Dalla PR:

Although the interim analysis showed a statistically significant improvement in progression-free survival (PFS) in the intent-to-treat (ITT) population, this benefit did not carry over to overall survival. There were no safety concerns identified by the DMC to Daiichi Sankyo or ArQule during this interim analysis.

 

L’analisi ad interim ha mostrato un aumento statisticamente significativo della progressione libera da malattia (PFS) ma questo non si è tradotto in un beneficio in termini di sopravvivenza. L’altro dato che ci viene offerto è che non sono state individuate problematiche a livello di sicurezza nella somministrazione del farmaco di ArQule.

Non sappiamo ancora quanti pazienti MET+ abbiano fatto parte dello studio, ne se un trial interamente condotto su questa popolazione avrebbe condotto a migliori risultati, ma è lecito supporlo.

A marzo, durante l’AACR, ArQule ha presentato i dati della fase 2 di Tivantinib (ex ARQ197) in pazienti con cancro al polmone, si trattava di una delle 8 presentazioni che andavano a portare al congresso. Questo studio è molto simile alla fase 3 MARQUEE appena arrestata.

L’analisi immunoistochimica fatta su campioni di tessuto appartenenti a pazienti dalla fase 2 di Tivantinib ha evidenziato che fra i pazienti con istologia non squamosa il 76% era cMET+ contro il 12% di quelli con istologia squamosa.

La somministrazione di tivantinib e Tarceva (erlotinib), stessa combinazione della fase 3, ha migliorato la progressione libera da malattia e la sopravvivenza in pazienti con istologia non squamosa e cMET+ in modo non statisticamente significativo (p value di 0,28 e 0,21 rispettivamente) ma con valori di hazard ratio molto buoni (0,58 e 0,46 per PFS e OS, ricordo che più il valore è basso e meglio è, in linea di massima sotto l’1,0 va già bene).

Basta questo per dare speranza? No, ma è un buon inizio, per il proseguo del cammino servirà sapere quanti cMET+ erano presenti nel trial MARQUEE. Se venisse fuori che la percentuale era attorno al 70%, come lecito attendersi, l’idea che uno studio condotto solo sulla popolazione cMET+ avrebbe un peso, se venisse fuori che erano solo il 50% ne avrebbe uno ben maggiore. utto questo ammettendo che in questi specifici pazienti Tivantinib abbia un reale effetto che si traduca in un miglioramento della sopravvivenza.

Arqule oltre oltre il NSCLC.

Ad ESMO si è parlato di ArQule anche per un aspetto che finora ha influito sulla quotazione molto più dei trial sul tumore al polmone. Tivantinib ha fornito dati veramente interessanti anche nel carcinoma epatocellulare (HCC). Dall’adozione di Sorafenib come standard della cura dell’HCC avanzato, in molti hanno tentato di migliorare la sopravvivenza nei pazienti affetti da questa neoplasia, ma di progressi concreti non se ne sono fatti molti.

Suntinib fallì in fase 3 nel 2010, nel 2011 toccò a brivantinib (VEGFR/FGFR inibitore), sia in prima che in seconda linea, per poi arrivare a tarceva in combinazione con sorafenib contro il solo sorafenib. In questo ultimo caso la sopravvivenza mediana fu di 9,5 mesi contro gli 8,5 del controllo (HR 0,92 ma p value 0,204).

Il professor Bruno Daniele ha illustrato i dati della fase 2 randomizzata di  tivantinib (ARQ197) in seconda linea nel trattamento dell’HCC. Anche in questo caso i dati sulla popolazione ITT (cioè su tutti i soggetti arruolati, indipendentemente dall’espressione cMET) non hanno impressionato, visto che il vantaggio in termite di tempo alla progressione (TTP, simile alla PFS) è stato poco marcato: 6,9 settimane contro le 6 del placebo (p value 0,04, quindi dato statisticamente significativo).

Nei pazienti cMET+ tuttavia il TTP è stato di 11,7 settimane contro le 6,1 del placebo (HR 0,43 e p value 0,03) ed il tasso di controllo della malattia del 50% vs il 20% con una sopravvivenza mediana di 7,2 mesi contro i 3,8 del placebo (HR 0,38 e p value 0,01).

La fase 3 di Tivantinib in questa indicazione non dovrebbe risentire della paurosa sbandata di MARQUEE, i cui dati potrebbero chiarire qualche aspetto dell’attività del farmaco.

ArQule ha cassa ed una piattaforma tecnologica mirata allo sviluppo di tirosin-chinasi inibitori (non ATP competitivi) di notevole interesse. La quotazione odierna è inferiore al valore di questi due ultimi aspetti che ho citato, quindi mi aspetto che il titolo torni a livelli più consoni, anche se qualche scossone va messo in preventivo. ArQule dovrebbe dire addio al segmento NSCLC? Forse si, ma è prematuro per dirlo, anche se in conference call hanno già messo avanti le mani, MetMab di Roche, a questo punto, sembra imprendibile.

MetMab è un anticorpo che, come suggerisce il nome, ha come bersaglio il recettore MET. In modo del tutto analogo a quello che penso faccia Tivantinib di ArQule (ARQL) è estremamente efficace in pazienti MET+, ma deleterio nel resto dei pazienti. Roche ha quindi deciso di portare il farmaco in fase 3 solo su pazienti MET+, cosa che ArQule e soci non hanno fatto, più che altro per una questione di maturità dei dati. Tivantinib andrà in fase 3 nel trattamento dell’HCC in pazienti MET+ e gli indizi raccolti finora fanno ipotizzare che abbia tutti i presupposti per far bene.