Primi dati dallo studio DARWIN 1 che vede impiegato filgotinib (una volta conosciuto come GLPG0634) in soggetti affetti da RA e prime importanti conferme per Galapagos NV. Lo studio ha centrato l’endpoint primario, ossia la percentuale di pazienti che ha registrato un punteggio ACR20 statisticamente superiore rispetto al placebo. DARWIN 1 è stato condotto a diversi dosaggi e diversi regimi, che sono sintetizzati nella tabella che vedete nel tweet ad inizio articolo e che vi riporto qui, assieme ai dati sull’efficacia a 12 settimane:

GLPG darwin 1 a 12 settimane

 

Alcuni aspetti sono da chiarire immediatamente. In primo luogo sembra che non esista un vantaggio statisticamente significativo fra la schedule che prevede una sola somministrazione quotidiana e quella che ne prevede due. Di per se questo non è un segno di inefficacia, rende solo più interessante il discorso della scelta del regime da portare avanti in fase 3, se questa ci sarà (come mi pare lecito attendere).

Altro aspetto che va considerato ora è che è evidente il fatto che esista per certo un rapporto fra dosaggio ed efficacia. Questo non è detto che sia così chiaro quando avremo a disposizione i dati a 24 settimane, dato che il disegno dello studio prevede che i soggetti destinati a placebo o ai dosaggi inferiori di filgotinib che non abbiano risposte adeguate al trattamento vengano randomizzati ad uno dei seguenti gruppi: 50 mg due volte al dì o 100 mg una sola volta al giorno.

Vediamo come si possono interpretare i dati diffusi oggi da Galapagos NV. Iniziamo dall’efficacia. Premettendo che una comparazione precisa è impossibile da fare fintanto che i dati completi non saranno a disposizione, ad iniziare dalle caratteristiche di base dei pazienti arruolati, possiamo dire che prendendo a misura tofacitinib (Xeljanz) di Pfizer e quanto ha fatto registrare nelle varie fasi 3, filgotinib non sfigura per nulla. Se raggiungere l’endpoint principale non era una sfida così improbabile da vincere la misura degli endpoint secondari come ACR50 e ACR70 da il senso di come si possa piazzare il JAK1 inibitore di Galapagos ed AbbVie. La somministrazione di 200 mg, in una sola volta o in due tempi, ha permesso di ottenere a 3 mesi (i dati sono a 12 settimane) percentuali di risposta in termini di ACR50 pari al 43% ed al 55% rispettivamente. Se prendiamo i dati di due fasi 3 di tofacitinib simili, quindi in pazienti con inedeguata risposta a MTX e con MTX in background, i dati non sono certo superiori:

 

tofacitinib acr50 in phase 3

ORAL Scan ed ORAL Standard sono gli studi più vicini a DARWIN 1. I dati sono a 6 mesi, non a 3, ed al dosaggio maggiore sono pari al 43,7% ed al 34,7% rispettivamente. Va detto che in questi studi, come in DARWIN 1, è prevista la possibilità di cross-over per i pazienti che non beneficiano del trattamento. Altro aspetto da notare è la risposta del placebo (8,4 e 12,3), inferiore a quella fatta registrare in DARWIN 1 (15%). Considerando il cross-over (che presumibilmente ha beneficiato i pazienti in Scan e Standard) ritengo che il vantaggio garantito da tofacitinib acquisti ancora più valore, anche se non raggiunge i picchi di filgotinib. Per chiarire quanto i farmaci valgano, in mancanza di uno studio testa a testa fra i due, occorrerà attendere i dati di filgotinib in monoterapia, ma al momento credo si possa affermare che l’inibitore di Galapagos ha svolto il suo lavoro egregiamente. Filgotinib è  efficace ed è veloce nella sua azione. Se Pfizer poteva vantare una rapidità d’azione di tofacitinib invidiabile, sostenendo che i primi corposi effetti fossero evidenti già a partire da due settimane di trattamento, filgotinib sembra metterci una sola settimana. Difficile esprimersi al riguardo, ma se i dati avessero un fondamento (e per il momento non ne sappiamo nulla), anche solo una settimana di differenza sarebbe importante.

L’elemento discriminante potrebbe essere la tollerabilità della terapia. Qui i dettagli sono pochi e fino a che lo studio rimarrà mascherato (doppio cieco) non sarà dato sapere quanto il drop out dallo studio abbia riguardato pazienti randomizzati al placebo e quanto a filgotinib. Al momento, stando alla nota della compagnia, 10 pazienti hanno abbandonato lo studio a causa di problemi legati alla tollerabilità del trattamento. L’1,3% dei pazienti usciti (su un totale di 594) lo ha fatto per eventi avversi gravi con particolare riferimento a 3 casi di infezioni di articolare gravità. sebbene sia possibile che qualche evento sia riconducibile al braccio del placebo, è più verosimile che vi sia coinvolto filgotinib, anche se non è dato sapere in quale dosaggio ed in quale modalità di somministrazione. Particolare degno di nota, anche in questo caso la specificità verso JAK1 conferisce ai pazienti trattati un aumento dell’emoglobina rispetto alla baseline, effetto che i lettori di lungo corso ricorderanno come uno dei motivi per i quali impazzivo per momelotinib, ai tempi CYT387.

In Europa tofacitinib ha ricevuto nel 2013 un parere negativo dal CHMP che, pur ritenendo il trattamento efficace nel trattamento dei sintomi dell’artrite reumatoide e delle condizioni fisiche dei pazienti, ha sollevato dubbi circa l’effettiva diminuzione dell’attività della malattia e dei danni strutturali da essa causati alle articolazioni. A far pender la bilancia verso il piatto sfavorevole ha di certo contribuito il dubbio circa l’insorgenza di gravi infezioni, alle perforazioni gastrointestinali e di alcune forme neoplastiche versificatesi durante la sperimentazione del farmaco. Nel 2012 Pfizer aveva già acconsentito ad uno studio post marketing per verificare l’incidenza di questi eventi avversi di notevole gravità. Partendo da questo punto di vista e considerando che anche Incyte e Lilly fanno parte della contesa grazie al loro JAK inibitore Baricitinib, la tollerabilità di filgotinib è una caratteristica che dovrà dimostrarsi al di sopra di ogni sospetto. Con l’efficacia che sembra avere, unitamente alla velocità con cui questa si manifesta, ed un profilo di sicurezza superiore alla concorrenza, il futuro di Galapagos NV potrebbe essere incredibilmente brillante.

AbbVie è un partner perfetto e Johnson & Johnson possiede una quota rilevante di Galapagos NV.  Rimanendo nell’ambito del trattamento dell’artrite reumatoide, Humira di AbbVie vende per 12 miliardi di dollari circa e Remicade, di Johnson & Johnson, per oltre 6 miliardi. Tutti e due i farmaci perderanno la loro copertura brevettuale a breve, da qui l’esigenza di trovare un rimpiazzo valido. E fra poche settimane arriveranno i dati di DARWIN 2.